Appuntamento al parco: per il piacere della riconferma
by Gianpietro Miolato
VICENZA – C’è una scena nella parte finale di Appuntamento al parco (titolo originale Hampstead, UK 2017) che risulta emblematica per stabilire il significato della pellicola: Donald Horner (interpretato da un barbuto Brendan Gleeson) ha appena vinto un processo in tribunale e sta uscendo applaudito dalla folla; una giornalista gli si avvicina e gli chiede cosa avrà intenzione di cambiare ora che è divenuto famoso; la risposta è lapidaria: «non intendo cambiare niente».
Il film di Joel Hokpins in questo semplice scambio rivela la programmatica volontà d’affermare la priorità del mantenere uno status quo che afferisca al passato (il diritto ad avere una casetta eco-friendly nel parco da parte di un perfetto sconosciuto), rispetto a possibili innovazioni che affondino nel presente (un lussuoso complesso edilizio necessitava di quello spazio nel parco medesimo per essere costruito). Se nel caso specifico della vicenda tale volontà si rifà a presunte e dogmatiche qualità esistenziali presenti in stili di vita spartani e luddisti, pure la struttura narrativa risente del significato complessivo del film.
La pellicola è divisa in tre parti ben distinte e riconoscibili, nelle quali il susseguirsi dell’intreccio sposa consolidati modelli narrativi da commedia romantica.
Nella prima sezione vengono presentati Emily (Diane Keaton) e Donald, con una preponderanza di inquadrature che seguono la donna alle prese coi debiti del marito ed uno stile di vita upper class messo inevitabilmente in pericolo. In tal senso, quasi ogni snodo diegetico è filmato in interni, con inquadrature che riprendono gli interpreti in primi piani e con dialoghi giocati in campo e controcampo (evidenti soprattutto negli incontri con la finta amica Fiona/Lesley Manville). La scelta stilistica non è casuale perché permette al regista di dare una precisa importanza all’ambiente e alla sua organizzazione: la casa di Emily, il negozio, la soffitta, i salotti delle amiche, ogni luogo è costellato di elementi che sottolineano la precisione e l’organizzazione, dunque la lontananza da possibili cambiamenti.
In tal senso la seconda parte, con l’incontro/scontro tra Emily e Donald, pone i protagonisti in situazioni archetipiche giocate su equivoci (l’incontro tra Donald e Philip/James Norton, il figlio di Emily, al rincasare inaspettato di quest’ultimo), parentesi romantiche (il pic-nic nel cimitero) e fraintendimenti che sanciscono il punto di svolta della narrazione verso la parte conclusiva (la cena a sorpresa per il compleanno di Emily in cui Donald viene umiliato).
Nella messa in scena del possibile allontanamento tra i protagonisti a causa delle ingerenze di fattori esterni (che non a caso sono rappresentati da esponenti di una società contraria alla volontà di affermazione bucolica del protagonista), si struttura la terza parte. Questa è interessante perché, tramite la vittoria del processo, dà forma ad una legittimazione dello stile di vita del protagonista da un punto di vista legale: l’intento è talmente evidente da essere basato sull’accettazione di una testimonianza resa da un personaggio che risolve la situazione da vero e proprio deus ex machina). Così facendo Hopkins conferisce una precisa patina di coerenza alla tesi del film tanto che nell’epilogo che sancisce il riavvicinamento tra Emily e Donald, la donna ha lasciato gli agi iniziali del suo appartamento per ritrovare se stessa in una più agreste tenuta di campagna.
Risulta quindi interessante fare riferimento al titolo originale della pellicola, Hampstead. Se il richiamo allo spazio verde pubblico a nord di Londra è evidente, in egual misura si rilancia all’omonima area residenziale famosa per lo stile di vita benestante. In tal senso viene rimarcata la cesura tra Donald e Emily, con la conseguente necessità di ritrovare una possibile e genuina verità nell’abbandono della modernità: il discorso di addio a Fiona ne è l’emblema, con la co-protagonista metaforicamente rinchiusa tra le mura domestiche mentre Emily sta all’esterno, nel corridoio.
Per sottolineare l’importanza dell’ambiente Hopkins si avvale anche di una componente tecnica di primo livello, dove spiccano in particolare i contrappunti musicali della colonna sonora di Stephen Warbeck, il montaggio fluido e compassato di Robin Sales e la fotografia di Felix Wiedemann, in grado di rendere assai vividi e contrastanti i colori delle immagini (ottima in tal senso la costruzione dell’inquadratura durante il ritrovamento dell’aquilone da parte di Donald). A ciò vada aggiunta una complessiva prova attoriale inappuntabile, sulla quale spicca la Keaton capace di dare spessore al proprio personaggio grazie a semplici gesti e ad una movenza del corpo trattenuta e pacata (vedasi le passeggiate con Donald o gli incontri con James).
Appuntamento al parco non cela dunque i propri intenti programmatici, né stilisticamente né contenutisticamente. E non certo facendo di tale scelta un difetto.