Ei piace, s’ei lice
by Gianpietro Miolato
VICENZA – [Illusione]: s.f. Percezione soggettiva che non corrisponde alla realtà oggettiva (Sabatini-Coletti).
Scrivendo del pranzo che ho esperito a febbraio all’Aqua Crua di Giuliano Baldessari, questa è la definizione che riassume perfettamente ciò che ho provato. E non certo con accezioni negative.
Situato a Barbarano Vicentino (VI), il ristorante (una stella Michelin dal 2015) propone ai suoi ospiti un menù che, nell’apparente semplicità della presentazione (ci arriveremo), nasconde un orizzonte che si apre ed allarga vertiginosamente appena il palato entra in contatto con le pietanze.
Ma andiamo per ordine.
L’ambiente è minimal ed essenziale, con pochi tavoli disposti parallelamente (i coperti sono circa una ventina) e la splendida cucina a vista in fondo alla sala a completare il quadro. Le luci soffuse e la musica di sottofondo conferiscono un tono intimo e raccolto. Il senso della cucina posta di fronte ai commensali è facilmente riconducibile al nome del locale: come spiegato nel sito, aqua è simbolo di trasparenza ed origine della vita; crua (cruda) richiama il suo essere naturale. Una trasparenza senza filtri, sembrerebbe.
In realtà, nello svolgersi della proposta gastronomica, la trasparenza è da cercare altrove.
Per meglio capire dove possa essere trovata, o quanto meno dove l’abbia trovata io, urge affrontare un ulteriore aspetto: l’idea di cucina di Giuliano Baldessari.
Terminato il pranzo ho potuto chiacchierare con la chef così da cogliere alcuni spunti che mi hanno colpito.
Baldessari, 10 anni sous chef di Massimiliano Alajmo a Le Calandre, formatosi sotto la guida di Marc Veyrat, maestro dello stesso Alajmo, ha un focus ben preciso: il gusto.
Tutto parte e finisce lì.
Il resto è un di più, uno accessorio, una guarnizione, qualcosa sì di imprescindibile ma comunque strumentale alla valorizzazione del gusto dei prodotti. Niente di più, niente di meno.
Baldessari si esprime con risolutezza e senza compromessi, a volte rischiando di incorrere nel fraintendimento, facendo passare per arroganza una solida consapevolezza. Ma non pare importargliene. La sua è una visione chiara e precisa di cosa debba essere la cucina, o, perlomeno, la sua cucina.
L’eredità di Alajmo? Importante, ma (re)legata quasi del tutto alla tecnica.
Il battage mediatico cui sono sottoposti gli chef (Baldessari stesso è giudice di Top Chef Italia)? Funzionale al mantenimento del ristorante.
Il riscontro sociale di certe aspettative riversate sul lavoro degli chef, con episodi estremi quali il suicidio di Bernard Loiseau nel 2003 per il rischio del declassamento da 3 a 2 stelle de La Côte-d’Or? Episodi gravi, ma che afferiscono esclusivamente agli effetti che tali aspettative avrebbero sul business.
Il centro della questione sta altrove. Il centro, ripetiamo, è il gusto.
E il rapporto coi clienti?
Rispettoso, ma non accondiscendente.
L’insieme di elementi che contribuiscono a raggiungere il focus del gusto dà vita ad un percorso che si trasforma in un’esperienza a 360°. Inizia con la vista dell’esterno del locale e termina con la porta del ristorante che si chiude concluso il pasto. Nel mezzo tutto deve essere sensato e supervisionato per raggiungere l’obiettivo. L’obiettivo è fissato dallo chef e il cliente è accompagnato nel percorso. Questo non significa però che il viaggio possa risultare soddisfacente al 100%. Ma il punto è mantenere una linea precisa nel percorso, la quale dia ragione del traguardo prefissato al di là di singoli giudizi di valori.
Il cliente è rimasto deluso perché avrebbe voluto qualcosa di diverso? Poco male, il rispetto è stato garantito nel non averlo accontentato e blandito laddove ciò avrebbe corrotto la coerenza del tragitto.
L’onestà si misura anche nel non asservirsi sempre e comunque.
Ma il menù?
Opto per la proposta Frattali (elemento geometrico che si ripete allo stesso modo anche su scale diverse), e gusto soddisfatto l’illusoria successione delle portate.
Benvenuto: trespolo di pizza fritta, noce e bresaola (ma in realtà è pomodoro); sembra pasta (ditalini di sedano rapa con ragù di coniglio). Ludico e succulento.

Sembra pasta
Mortadella: seppia cotta al vapore e setacciata con pinoli San Rossore, artemisia, fungo shiitake e portobello su cialda di polenta fritta. Immediato, leggero, soffice.
Radicchio: di Treviso, crudo con un ripieno di crema di pistacchio, olio all’aringa, limone grattugiato e trombetta nera (un fungo nero selvatico). Fresco, cremoso, croccante. Un piatto ottimo.
Spaghetto: spaghetto Mancini con astice, capesante, gambero e ricciola con bergamotto. Acidulo, delicato, persistente.
Riso: al plancton, con caffè d’alga bruciata, mantecato con peperoncino, zenzero, parmigiano reggiano 36 mesi e succo d’ arancia. Acidulo, piccante, sapido; una portata splendida.
Colombaccio: piccione da cacciagione toscana con filetto, petto e coscia, il fondo di cottura e spuma di patate ed erba cipollina con il suo durello (memoria di un Ferrero Rocher ai fegatini). Rustico, affumicato, tenero. Grande tecnica.
Crema Carbonizzata: crema con carbone vegetale, caffè in polvere, polipodio (una liquirizia selvatica di montagna), acido citrico e lime: leggero, dolce, amaro. Un’ottima conclusione.
Saluti finali con uova di cioccolato bianco e frutto della passione. Un’ultima carezza.