Gertrude Bell, la regina del deserto

Gertrude Bell, la regina del deserto

by Rudy Foralosso

TORONTO – Sono sempre assai affascinato da persone che, soprattutto in epoche remote e, quindi, meno semplici, hanno cercato di imporre il proprio pensiero, punto di vista, esigenze senza timore, spesso pagando care le proprie scelte. Molte persone hanno così apportato sviluppi culturali e sociali di cui tutti noi possiamo giovare. Moltissime erano donne.

Parecchi individui divennero eroi, numerosi sono noti ai più perché considerati grandi personaggi alla ribalta dei media, ma molti rimangono ancora pressoché sconosciuti quanto ai loro meriti.

Di quest’ultima schiera, moltissime sono donne.

Getrude Margaret Lowthian Bell (1868-1926).

Fino al 2003, a Bagdad, si poteva ancora visitare la sua tomba e soprattutto si poteva leggere la targa in ottone fatta affiggere al Museo Archeologico Nazionale dell’Iraq da re Faisal, il primo sovrano del paese, che recitava così:

“Gertrude Bell, il cui ricordo sarà sempre custodito dagli arabi con reverenza ed affetto, creò questo museo nel 1923 quale direttrice onoraria delle antichità dell’Iraq. Con straordinaria competenza e devozione vi raccolse i reperti più preziosi. Nel caldo dell’estate vi lavorò fino al giorno della sua morte, il 12 luglio 1926. Re Faisal ed il governo dell’Iraq con gratitudine per le sue grandi imprese in questo paese hanno ordinato che l’ala principale rechi il suo nome e con il suo permesso i suoi amici hanno posto questa targa”.

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Ma non è solo per i suoi meriti archeologici  che Bell è passata alla storia: è stata niente meno che la madre dell’Iraq moderno. Di padri della patria ne conosciamo tantissimi, ma di madri, ancora troppo poche.

Gertrude, per niente irachena essendo nata in Inghilterra, era una donna effettivamente fuori dall’ordinario: intelligente, brillante, curiosa e straordinariamente colta. Aveva inoltre un senso religioso del lavoro e del dovere. In un’epoca in cui l’impero britannico si andava espandendo in mezzo mondo, lei mal sopportava il clima bigotto dell’alta società inglese e le infinite restrizioni che impedivano alle donne di esprimersi o – come diceva lei – di fare gli stessi mestieri degli uomini.

Fin dall’adolescenza si diede ad un’attività frenetica: caccia, ciclismo, danza, equitazione, giardinaggio, scherma e alpinismo. All’università di Oxford, roccaforte maschile, in soli 2 anni riuscì a laurearsi in Storia Moderna col massimo dei voti. Ma soprattutto, viaggiò in lungo e in largo per tutt’Europa e nelle principali capitali dell’impero vittoriano. Ad esserle fatale fu però il soggiorno in Persia, a quei tempi contesa tra GranBretagna e Russia. Fu un vero colpo di fulmine a cui seguì un soggiorno a Gerusalemme. Da quel momento, l’Oriente e ancor più i suoi deserti divennero il suo orizzonte.

«Sono una fuorilegge, il mio governo se ne frega di me. Ho appena firmato una liberatoria con governo ottomano nella quale affermo che procederò a mio rischio e pericolo».

Fu così che iniziò la sua avventura di esploratrice dei deserti che allora rappresentavano solo grandi spazi bianchi nelle mappe delle potenze europee. In breve tempo imparò il persiano, l’arabo e il turco, e nel 1900 organizzò il suo primo viaggio da Gerusalemme a Damasco, per poi proseguire fino a Palmira, il gioiello d’architettura romana nel deserto settentrionale siriano. Allestiva lei stessa la sua carovana con pochi fidati servitori e guide locali senza temere i disagi, la fame o la sete, spinta dall’amore per l’archeologia e la fotografia, diventando in breve tempo un’esperta archeologa.

Nel 1905 un altro viaggio da Gerusalemme ad Istanbul via Damasco, Aleppo e Antiochia. Nel 1909 da Aleppo attraversando il deserto settentrionale siriano fino al Tigri e all’Eufrate e a Bagdad. E nel 1913, nel cuore dell’Arabia, attraverso il deserto di lava e ghiaia del Negev, fino al regno della tribù degli Al Rashid dove fu fatta prigioniera ma riuscì a fuggire.

Alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, Bell aveva visitato gran parte della Palestina (oggi Israele) e delle attuali Siria, Arabia Saudita, Libia, Turchia, Iran e Iraq: un’impresa titanica che a quell’epoca sarebbe stata alquanto ardua anche per un uomo. E a quell’epoca però il vero ostacolo era rappresentato da confini incerti per via di lotte continue tra clan e tribù e se non li si sapeva rispettare, si rischiava la vita.

Lei, parlando con la gente nelle loro lingue, veniva a conoscenza dei capi tribù, li andava a cercare e chiedeva loro guide a conoscenza delle suddivisioni territoriali, ottenendo così l’autorizzazione per attraversare i loro territori in cambio di danaro ma, soprattutto, di notizie di cui lei  era portatrice.

Fu così che gli stessi arabi la battezzarono “la regina del deserto”.

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