Degusto: less is more

Degusto: less is more

by Gianpietro Miolato

VERONA – Ad inizio gennaio ho incontrato una persona che non vedevo da mesi.

Ci siamo dati appuntamento a San Bonifacio, poco dopo pranzo. Mentre percorrevamo via Camporosolo in cerca di un bar in cui fermarci, siamo passati davanti ad un locale che in quel momento era chiuso. Dalle vetrate ho sbirciato all’interno e ho capito che si trattava di un ristorante. Le luci erano soffuse però la cucina mi era esattamente di fronte, e dava sulla strada. Mi sono fermato per qualche istante e ho osservato dei ragazzi, che non avranno avuto 20 anni, armeggiare con stracci e spugne per pulire il piano cottura e il piano di lavoro.

La scena mi ha colpito perché l’intensità era evidente, così come la serietà.

Nessuno rideva o parlava.

Dopo qualche secondo ho ripreso a camminare e ho concluso il pomeriggio in un bar poco lontano.

Mesi dopo, deciso a scegliere un ristorante in cui recarmi per condividere un pranzo con un amico, ho sfogliato una piccola guida incentrata sui locali più interessanti del Veneto. Non necessariamente stellati o di fama nazionale. Semplicemente meritevoli di una visita, almeno a detta di chi scriveva. Mentre la consultavo sono incappato in un locale a San Bonifacio, il Degusto di Matteo Grandi. Non conoscendolo ho cercato qualche informazione in internet e non ho potuto non notare che, nella maggior parte dei casi, le recensioni erano quanto più positive. Deciso ad esperirlo ho cercato la via in cui si trovava. Quando ho controllato la posizione ho avuto un’epifania: si trovava in via Camporosolo, esattamente dove ero passato a gennaio. Era il ristorante che mi aveva colpito.

Sabato 19 maggio mi ci sono recato a pranzo con un amico.

Appena entrati il locale si presenta con una profonda immediatezza. L’ambiente è composto da una quarantina di coperti, con ai lati pareti da cui si intravede l’intonaco, pavimento in parquet e tavoli ben organizzati con tovaglie bianche e punti luci ad illuminarli. A sinistra si apre la cucina a vista. A destra una parete è ricolma di una vasta scelta di vini. Il contesto è minimale ma raffinato. Essendo una giornata soleggiata decidiamo di mangiare all’aperto, nel patio, sul retro. L’ambiente è adornato dalla vegetazione, con una piccola tettoia ebbra di arbusti. Uno spazio piccolo ma rinfrancante.

Io e l’amico optiamo per il menu da 8 portate, con mescita di vino. Il tutto dura circa tre ore. Ce la prendiamo comoda, anche perché solo altre due persone sono presenti nel patio. Possiamo dunque gustare con calma la successione dei piatti.

Matteo Grandi dimostra una profonda conoscenza del mestiere, a discapito dei suoi 28 anni. Vincitore della prima edizione di Hell’s Kitchen Italia, e cresciuto sotto l’ala di Jean Claude Fugvier (allievo a sua volta di Alain Ducasse) col quale ha lavorato sei anni, Grandi unisce tradizione e sperimentazione con grande competenza tecnica, ponendosi come obiettivo una semplicità compositiva che garantisca la riconoscibilità della materia prima. Tale riconoscibilità è da intendersi come precisa esaltazione del gusto dei singoli ingredienti nell’unione del piatto. Ne esce una cucina intensa, chiara, a volte non eclatante ed a tratti irrisolta, ma comunque notevole.

grandi matteo

Lo chef Matteo Grandi

La filosofia di Degusto è chiara: less is more. Avere meno per ottenere di più. Togliere per esaltare, obbligando lo chef ad inventare dei piatti che permettano di raggiungere l’obiettivo. Una sottrazione di elementi che impone un doppio lavoro a livello teorico.
Non immediato e non alla portata di tutti.
A volte con risultati discutibili, ma impressionante nelle composizioni più riuscite.

Il menu.

Benvenuto: pizza fritta con pomodoro vesuviano (il Piennolo) e granita di pomodoro: crescendo di acidità e delicatezza. Un ottimo inizio.

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Foie gras, carota marinata con timo e miele, e mela all’ibisco: pulito, sapido, dolce e preciso nei gusti. Uno dei piatti migliori. Raffinato.

2 Foie Gras, Carota Marinata Con Timo E Miele, Mela All'ibisco.jpg

Uovo Degusto (uovo fritto con tuorlo ancora liquido) servito con asparagi verdi e bianchi, e pepe nero malesiano: il piatto simbolo del locale, che cambia stagionalmente. Tecnicamente ben preparato, ma nulla più. Anonimo.

Capesante, rabarbaro, neve di burro, nocciola e formaggio vegetale: di una delicatezza disarmante, soprattutto se rapportato alla sapidità data dal formaggio e dalla cottura delle capesante. Ottimo.

4 Capesante, rabarbaro, neve di burro, nocciola, formaggio vegetale.jpg

Ravioli con latte di capra, ricci di mare e carote: a parere di chi scrive, il piatto migliore di tutto il pranzo. Un’esaltazione reciproca di gusto tra i ricci di mare e il formaggio a dir poco indimenticabile. Clamoroso.

Risotto con faraona, erbe amare e rooibos (una pianta africana): ottimamente mantecato e notevole nella patina erbacea, ma nel complesso non eclatante. Irrisolto.

Bottoni di bernese, asparagi in cinque modi e tartufo: asparago esaltato e predominante, e passaggio di consistenza tra la pasta e il ripieno assai buono. Strutturato.

Sogliola, latte di seppia agrumato e dragoncello: l’agrumato del fondo di accompagnamento è in perfetta sintonia con la sogliola e, soprattutto, col dragoncello. Valido.

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Agnello da latte in pancia, spalla e costolette con carciofi in crema, crudi e fritti: carne di una delicatezza e di un gusto disarmanti. Succulento.

Piccola pausa con sorbetto di cioccolato salato: perfetto in preparazione al dolce.

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Cremoso e granella di caffè, con sorbetto e meringhe al frutto della passione: acido e cremoso, equilibrato e preciso. Rinfrescante.

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Saluti finali: un’ottima chiusura.

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You can visit the restaurant’s website here

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