BELLOTTO 1740

by Carolina Trupiano

UN GIOVANE PITTORE GIUNGE DA VENEZIA E CREA L’IMMAGINE DELLA TOSCANA

Bernardo Bellotto risplende nella cornice della Fondazione Ragghianti a Lucca grazie ad una mostra dedicategli e strettamente legata alla sua permanenza toscana. Si tratta di un piccola e seducente retrospettiva che concentra l’attenzione sulle opere di Firenze e Lucca con lo scopo di ricreare il percorso che l’artista compì nell’estate del 1740, grazie al ritrovamento e studio di importantissimi documenti che accompagnano e completano la comprensione delle tele. Il tutto è frutto del lavoro di ricerca ed intuizione condotto dalla curatrice Bożena Anna Kowalczyk.


Venerdì 11 ottobre 2019, Lucca. Una giornata splendente per una città che festeggia la sua stessa rappresentazione nel giorno del vernissage della mostra, e che con sorpresa scopre essere perfettamente identica ad allora. Il dipinto al centro della retrospettiva, la Piazza di San Martino, conservato alla York Art Gallery, mostra la curtis ecclesiaæ della città con la sua cattedrale (consacrata nel 1070, fu il primo grande tempio cristiano in Italia) di raffinatissimo stile romanico. Il gioco di tripartizione della facciata con gli ordini di archetti finemente decorati e intarsiati – ciascun esemplare unico – con figure fitomorfe e marmi policromi, è raffigurata in lontananza, dal momento che Bellotto, per ampliare la veduta, dilata la distanza disegnando da una finestra del piano nobile di palazzo Bernardi (Fornaciari), includendo il transetto dell’antica Cattedrale di San Pantalone e Reparata e il palazzo Bernardi (Micheletti) con la bottega del falegname e il giardino pensile, animando la piazza con figurine di nobili lucchesi e popolani.

The Piazza della Signoria in Florence.jpg

Questo dipinto, centro focale dell’esposizione e, degli studi condotti per la mostra, fu frutto non del caso ma di un sagace intreccio di idee da parte delle menti che governavano l’élite intellettuale nella Toscana illuminista: il marchese Andrea Gerini, eccelso collezionista fiorentino, architettò infatti, insieme al veneziano Anton Maria Zanetti di Girolamo – brillante conoscitore e abile antiquario a sua volta – di introdurre il modernissimo genere del vedutismo nella capitale dei Lorena e di promuoverlo con un progetto editoriale. Come testimonia l’ovale che li raffigura attorno ad un tavolo tra lettere, medaglie e cammei  (dipinto di Giuseppe Zocchi esposto in mostra) furono loro i tramiti e sostenitori dell’avventura del giovanissimo Bellotto, che in quel momento si stava formando nella bottega del celebre zio Antonio Canal detto il Canaletto, di cui userà il nome, per una furba e mirata azione di marketing, nonché dimostrazione di una precoce ambizione e di un innato desiderio di celebrità. Dallo zio apprende la maestria prospettica, atta a conferire verità ai luoghi tramite l’uso della camera ottica, e la vibrante resa atmosferica che crea giochi luminosi chiaroscurali e cristallizza il momento al punto da renderlo eterno. Sarà invece dalla sua esperienza di vita, dalla sua sensibilità e attenzione per la resa della naturalezza dei luoghi che Bellotto diverrà non solo il suo più grande successore, ma, proprio a partire da questo suo primo fondamentale viaggio, lasciando la natia Venezia, che troverà la sua indipendenza e una personalissima vena descrittiva. Siamo di fronte al primo momento di evoluzione per il genere della veduta verso il puro paesaggismo.

bellotto lucca

Ad aprire l’esposizione le due magnifiche vedute di Firenze, prestito del Szépművészeti Múseum di Budapest, che palesano tutta la dedizione e accuratezza del diciottenne Bernardo nel descrivere il cuore politico e culturale della Toscana, la Piazza della Signoria, verso est, Firenze, in cui la scala di bruni e grigi viene ravvivata da molteplici dettagli rosso corallo: la giubba del cocchiere, le ruote del carro, i mantelli dei nobiluomini; e la dimensione veneziana dell’acqua investita di luce argentata insieme alla poetica descrizione di un orizzonte paesaggistico ne “L’Arno dal Ponte Vecchio fino a Santa Trinita e alla Carraia, Firenze”. A seguire, le due vedute di Firenze eseguite quasi quattro anni dopo, del Fitzwilliam Museum, Cambridge, immancabile confronto nell’evoluzione dello stile dell’artista, che diventa libero, poetico, venato di malinconia: l’Arno è un dolce specchio d’acqua che riflette i bruni delle abitazioni, il rosa del cielo.

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Nella Sala Lucchese siamo immersi in una visione a tutto tondo di San Martino: Bellotto si è divertito a girarla da ogni lato e soffermarvisi quasi volesse creare una ripresa cinematografica a cui nessun dettaglio può sfuggire. I quattro disegni provenienti dalla British Library di Londra, per la prima volta studiati nel dettaglio ed esposti, dichiarano l’abilità della penna e il calore dell’inchiostro bruno, la ricchezza e perfezione conferita dall’occhio di un vedutista.

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Desiderio nato dalla meticolosa volontà dell’artista o precisa richiesta di un committente della curia arcivescovile? È l’unico punto ancora da scoprire, conclude Bożena Anna Kowalczyk, illustrando al sindaco, ai giornalisti e al pubblico lucchese quanto sia importante questa mostra per l’identità culturale della città, la sua fama e bellezza. Sentimenti condivisi dal direttore della Fondazione, Paolo Bolpagni e dal presidente, Alberto Fontana, che sono fieri e emozionati di avviare la stagione con una retrospettiva così intimamente legata al suo territorio.                   

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La mostra è schietta, piacevole, colma di fascino. Contribuisce a renderla accattivante e moderna il progetto fotografico che palesa la personalissima visione della Toscana – tre secoli dopo – di due artisti classe ’90, Jakob Ganslmeier e Jacopo Valentini. Il primo con una serie di collage in bianco e nero di momenti di vita cittadina, con fortissimi accenti chiaroscurali a creare una narrazione di intensa tensione drammatica; il secondo con quattro pannelli di dettaglio che riflettono su momenti architettonici delle due città toscane. Il portone ligneo di Santa Maria Foris Portam sormontato dai bassorilievi di animali fantastici, il nartece di San Martino con le sue lesene rosa e le sue moderniste righe nere: la luce bianca dell’alba uniforma come una brume le visioni nelle delicatissime sfumature dei colori pastello.               

Una brillante connessione tra l’antico e il contemporaneo – immancabile nelle retrospettive internazionali – che rafforza la consapevolezza e riflessione sulla bellezza, di cui Lucca vive, immutata nei secoli. 

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