Dalle dissonanze impressioniste ai mocassini dissidenti – Alziamo gli altarini sulla liaison dangereuse tra moda e calzature di dubbio gusto.
by Matteo Giulio Sarti
MILANO – Voglio delle scarpe orrende.
E non voglio limitarmi a strizzare l’occhio alle Triple S di Balenciaga o le Rhyton di Gucci, voglio che le mie scarpe siano una vera e propria offesa al gusto. Voglio vedere le sciure che si fanno il segno della croce al solo vedermi passare.
Sto parlando di sneaker marroni, sto parlando di matelassé in similpelle. Per la sera, sto parlando di lunghi – chilometrici – mocassini che non solo sono a punta, ma sono anche quadrati (in faccia al buongusto ma anche alla geometria).
E mentre passo la mia domenica sera a cercare di ricordarmi il nome di quelle Puma inizio duemila, quelle con le fasce elastiche di lato, non riesco a non chiedermi esattamente perché io lo stia facendo. Cosa sia andato storto.
L’attrattiva delle scarpe brutte (non credo esista una terminologia professionale interna all’industria), sta tutta nel senso di rigoroso disinteresse nei confronti della moda, dei trend e di tutto il teatrino. Quella sprezzatura alla Mastroianni, quasi, ma che si focalizza su uno degli elementi cardine del nostro guardaroba e ne ribalta il ruolo semantico. Se il modo in cui scegliamo di vestirci è un linguaggio visivo, le calzature riescono a dire molto sul messaggio che vogliamo comunicare. Nel mio caso, voglio che implorino di essere soppresse, per pietà.
Provando a comprendere l’origine dell’apparente magnetismo di questi oggetti, inevitabilmente brutti sotto ogni punto di vista, mi rifaccio al concetto di “dissonanza”.
Prendiamo Erik Satie, per esempio: le melodie delle sue Gymnopédies (traducibili in “ginnastica per piedi”, per l’appunto) usano dissonanze leggere, seppure deliberate, contro l’armonia, producendo un effetto caratteristico e malinconico.
Satie, il compositore impressionista, prediligeva un puro formalismo oggettivo in opposizione a ogni attributo sentimentale ed emozionale conferito al linguaggio musicale istituzionale del tempo. Le sue erano quindi scelte estetiche – usare un elemento stonato che non detrae dall’insieme, ma lo arricchisce di valore aggiunto.
Questo è un concetto che si presta facilmente a giustificare l’infiltrazione del cattivo gusto nell’immaginario di noi membri della serissima intellighenzia mediatica, vero. Ma perché proprio le scarpe allora?
Perché, tra tutte le opzioni a nostra disposizione, le calzature sono tra gli accessori che meglio comunicano la tribe di cui vogliamo fare parte: la casalinga con le Flyflot, il businessman con le oxford, il cugino fricchettone con le Etnies, il punkabbestia con le Dr.Martens, Phoebe Philo con le Stan Smith. Non importa cosa decidiamo di metterci, le scarpe parlano del nostro simbolismo personale e lo fanno a voce alta.
Io voglio delle scarpe orrende perché smentiscano quello che dico tramite i vestiti. Un ossimoro. La metafisica escatologica della calzatura come dissonanza impressionista.
Vaneggiamenti a parte, vorrei analizzare la sviluppatissima narrativa di un brand come Marni e farne esempio. Certo, facile, direte voi: prendi un marchio intellettuale con tendenze avanguardiste e chiaramente vedrai delle intelligenti sfide al gusto tradizionale. Ma nel caso delle scarpe viste allo spettacolo per il prossimo inverno (quei mattoni squadrati, usurati, appiattiti, in pelle rosa, con tanto di catena a lato) non esistono scuse che tengano. Quelle “cose” sono una pura scelta visiva, che stridono, gridano “a noi non interessa del gusto formale, siamo libere da ogni genere di costrizione estetica”.
E si dia il caso che anche io voglia dare l’impressione di essere libero da ogni genere di costrizione estetica. Anche io voglio liberarmi dalle catene del buongusto.
Ne deduco: devo avere quelle scarpe.
Devo concedermi un autodafé e risorgere nel paradiso di un’illuminata élite di modaioli veri, duri e crudi. Pieno zeppo di simbolismo anti-fashion che parli del MIO gusto! Della MIA esperienza umana! Senza addolcire la pillola con delle blande scarpe che si limitano all’essere ironiche, ispirandosi al duro lavoro dei veri connoisseur del cattivo gusto. Troppo facile essere alla moda col cool degli altri.
Cerco Crocs da abbinare al tuxedo. Uggs da mettere col completo. Un qualcosa di controverso, non so, un sabot rivoluzionario, una babbuccia sovversiva.
Ah, ho trovato il nome! Quelle Puma che cercavo si chiamano “Monstro”, a proposito. Pensa tu alle volte il caso. Chissà a quanto vanno su Ebay.