by Johnny L. Bertolio
Located on the north-eastern side of Sardinia, in the region of Gallura, the Emerald Coast is a brief strip of land that faces a crystal-clear sea. It was literally invented back in the Sixties by His Highness the Aga Khan, after acquiring plots once owned by native shepherds and their wives (who were not very interested in swimming and bathing). Prince Karim recruited three visionary architects, and together they forged a peculiar style. Combining local techniques with Oriental suggestions, these human demiurges conceived villas, luxury hotels, and all the amenities according to a rigorous canon of aesthetic rules. Nowadays in this Eden by-the-sea slithers the snake of Tacky and Kitsch, but the travel restrictions during the lockdown have shown the Emerald Coast as it must have been when it was originally devised.
PORTO CERVO – C’era una volta la Gallura. E c’è ancora. Una linea capricciosa della Sardegna nord-orientale che disegna profili irregolari, fitti di macchia mediterranea digradanti verso spiagge ieri da cartolina, oggi da Instagram.
E c’era una volta, e c’è ancora, delimitata da due blocchi di granito rosa lungo la strada provinciale 59, la Costa Smeralda. Pochi chilometri compresi nel Comune di Arzachena dove negli anni Sessanta Karim Aga Khan, principe ismailita, acquistò svariati ettari di terreni già di pastori e mogli di pastori più interessate all’allevamento che alla balneazione. Smeralda non per il colore predominante di queste terre e di queste acque, ma dal nome della figlia del primo acquirente italiano, Esmeralda di Giuseppe Mentasti.
I lidi di Arzakhan (com’è stato ribattezzato il Comune che ben s’impingua) sono, in effetti, un trionfo di toponomastica celebrativa di viventi: dopo piazza e spiaggia (del Principe), Karim (lunga vita!) ha da poco una via a Porto Cervo, piccola capitale di questo principato edenico. Chissà se i Nino Visconti, i Branca Doria, i Michele Zanche si siano mai accorti delle virtù di questo margine di Sardegna e se sas concas dei pendii non abbiano avvistato la ciurma dell’Ulisse dantesco in viaggio verso le colonne d’Ercole.
Oggi, dopo la costruzione dell’aeroporto di Olbia, porti, ville con eliporti e alberghi iconici, in cui persino le maniglie delle porte e i bastoni delle tende sono a tema, la Costa Smeralda ha conservato quasi intatto il fascino del must-see. Chi viene in Sardegna non può sottrarsi alla vanità del pellegrinaggio: che sia a bordo di uno yacht faraonico (o zarico), di un autobus da gita di crociera, di una Lamborghini presa a noleggio, una carezza alla pietra di Porto Cervo è la tappa finale dell’itinerario.
Disegnata come un paradiso terramarino, la Costa Smeralda ha avuto i suoi demiurghi in tre architetti, Jacques Couelle, Michele Busiri Vici e Luigi Vietti, alla corte degli Aga Khan, che quanto a stile diventano due: Karim e il fratello filantropo Amyn. Le loro menti fusero le tecniche povere locali (canne, pietre grezze unite a secco, cotto, coppi in filari simmetrici) con suggestioni orientaleggianti (tanto, tanto bianco), ligi al precetto del “Costruisci nascosto”. Gli ampliamenti più recenti, dopo una serie di vicissitudini nel consorzio che gestisce la dorata baracca, sembrano aver dimenticato il divieto dei creatori: “Non mangerai del frutto dell’albero del Pacchiano e del Kitsch”. Così, il serpente tentatore si è insinuato tra i ginepri.
La chiesa Stella Maris e l’albergo Luci di La Muntagna
Distillato dell’architettura smeraldina è la parrocchiale di Porto Cervo, amministrata da un curato di mare che le devote chiamano don Clooney. Il gene della bellezza ha fruttificato anche nell’arte sacra, non solo nelle modelle autoctone (come Melissa Satta). Progettata da Busiri Vici, la chiesetta ha forme soltanto curve, che culminano nella cupola rivestita di ceramiche turchesi. Da una donazione aristocratica viene la presenza discreta e tenebrosamente orante della Mater dolorosa di El Greco: la chicca ammonisce che il culto qui professato è quello cattolico. Meglio specificare visto che il piccolo nartece è sorretto da sei megaliti, eredità degli antichi sardi o, secondo alcuni allucinati, degli atlantidiani. Sulla chiesa si affacciano le terrazze candide e castane delle Luci di La Muntagna, albergo sempre firmato da Busiri Vici (e che nel nome ricorda gli antichi fari di segnalazione): un santuario della Fortuna montana che abbraccia il tempietto della Stella marina.
La discoteca Ritual
Oltre il confine della Costa Smeralda sorge quella che di fatto ne è un’estrema propaggine: Baja Sardinia. Qui, dal granito e dalla vegetazione fra cui si camuffa, è emersa nel 1970 la discoteca Ritual. Il suo ideatore, non incluso nella triade agakhanica, fu Andres Fiore, che ha plasmato il suo progetto in una grotta, ricavando le pietre e gli ambienti dallo stesso luogo naturale. La fabbrica sembra ancora attiva, come quella della Sagrada Família. Tra i frequentatori l’albo d’oro del club annovera ricchi patrizi e ricchi plebei, esponenti rampanti del jet-set internazionale, protagonisti e protagoniste di feste private da Sardanapalo. Scenografia dei bagordi reali è una sincretica simbologia, entro spelonche mitologiche e s(c)alette infere che assomigliano, a seconda della clientela, all’antro della Sibilla o a quello della prima copula di Enea e Didone.
Il Forte Cappellini
Costruito dai sabaudi alla fine del Settecento davanti all’arcipelago della Maddalena, il Forte Cappellini ricorda che questo scorcio di Mediterraneo è stato oggetto di mire ambiziose (il còrso Napoleone, nel 1793, tentò en vain da qui un’invasione repubblicana della Sardegna) e crocevia di traffici leciti e illeciti fra Stati. Oggi gli amplissimi spazi non decaduti del Forte ospitano uno dei più noti locali da apericena del circondario, il Phi Beach, ideato da Giancarlo Paci in onore del numero aureo di Fibonacci: i clienti che affollano la riva, battuta dal maestrale che è l’aria condizionata naturale dell’isola, guardano nella stessa direzione degli antichi cannoni e inneggiano con lo smartphone al sole che si inabissa oltre le Bocche di Bonifacio. Accanto al Forte, in queste terre che negli anni Sessanta ospitarono comunità di hippies (chiamali sciocchi!), è la dimora di un superstite di quell’età fiorita: Lupo, fabbricante di sfere di cristallinità geometrica, come doveva essere la Terra prima dell’arrivo degli architetti. La storia degli uomini, dopotutto, è fatta anche delle piccole cose.
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