La libertà dell’uomo per Paulo Freire

by Andrea Godoy

          CALGARY – Lo scorso settembre, il Brasile e il mondo hanno celebrato il centenario della nascita di uno dei più grandi pensatori sull’istruzione del nostro tempo: Paulo Freire. Importantissimo pedagogista brasiliano, Freire nasce a Recife nel 1921 in una famiglia della media borghesia ma scopre la povertà e la fame dopo un periodo di estreme difficoltà nel 1929. Questa esperienza sarà determinante per sviluppare il suo metodo educativo anni dopo. Nel 1962, dopo essersi laureato in legge, comincia ad insegnare il portoghese ai lavoratori delle industrie di Recife. Si innamora di questo lavoro e comincia a percepire l’inadeguatezza dei metodi educativi allora in uso.

          Dopo alcune sperimentazioni, ha l’opportunità di alfabetizzare dei lavoratori delle campagne di Pernambuco, una regione molto povera del suo stato. Nota anche che non potrebbe mettere in atto lo stesso metodo utilizzato per i bambini. Mette allora in pratica le sue osservazioni in un modo particolare e rivoluzionario: in 40 giorni, lui e la sua squadra alfabetizzano un gruppo di 300 contadini. Il risultato è stupendo e il successo lo porta a coordinare un programma di alfabetizzazione nazionale all’inizio del 1964, programma che purtroppo verrà chiuso solo pochi mesi dopo a causa della dittatura militare.

Il metodo di Freire consiste nel creare una consapevolezza della condizione di vita di ogni cittadino e far emergere la sua coscienza politica. La lezione può quindi cominciare con un’immagine che rappresenta la vita quotidiana del gruppo seguita da una riflessione e discussione che portano infine allo sviluppo di una soluzione per un problema specifico. Le parole usate sono dense di significato ed è così che l’apprendimento comincia: gli individui coinvolti possono così capire in modo più naturale, generando altre parole che riguardano sempre situazioni che vivono quotidianamente.

          Paulo Freire crede che il rapporto tra educatore ed educando debba essere cambiato, abbandonando la pedagogia autoritaria e diventando un rapporto amichevole attraverso il dialogo. Nel suo libro più conosciuto La pedagogia dell’oppresso (Pedagogia do oprimido, 1970), Freire evidenzia come le persone dovrebbero essere capaci di leggere il proprio mondo, condividere le proprie riflessioni in dialogo e trasformare la propria realtà attraverso l’azione comunitaria.

        Nel suo ultimo libro La pedagogia dell’autonomia (Pedagogia da autonomia, 1996), Freire crede che l’educatore non debba essere più un detentore del sapere arrogante, un semplice “trasmettitore” di informazioni ma un individuo che  possa avere un rapporto educativo di scambio partendo sempre dalle esperienze di ciascuno. In questo libro fa una lista ideale delle caratteristiche fondamentali di un bravo insegnante. Secondo Freire, il centro del processo educativo deve essere il supporto, l’ascolto e l’attenzione. L’educatore deve insegnare a cercare, a creare domande, a stimolare una conoscenza generativa.

          In conclusione, mi sento di citare le parole dell’autore italiano Alessandro D’Avenia, educatore di cui noto un profondo legame con il tipo di istruzione di cui Paulo Freire parla: «Nella mia esperienza i ragazzi ti seguono ovunque se vedono che ciò che racconti ti ha cambiato la vita, che il fine per cui studiare sono loro e non sono solo l’interrogazione, che conoscere qualcosa li renderà più liberi e felici, perché proprio quel qualcosa ha reso più felici noi. Ciascuno trova sé stesso attraverso ciò che più lo stupisce: numeri, paesi, poesie…tutti indizi della chiamata al futuro. Raccontate “la cosa” che amate di più, anche se non è in programma, spiegate perché vi ha cambiato e le avete dedicato tanti sforzi: ricevete “le domande”, che sono il punto di incontro tra ciò che loro non hanno mai visto (quello che insegniamo) e ciò che noi non abbiamo mai visto (il loro futuro). Liberiamoli con ciò che ci ha reso liberi.» [‘Primo giorno di scuola’, Corriere della Sera, 6 settembre 2021]

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