Magico Mozart

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Die Zauberflöte per la Canadian Opera Company

by Sebastiano Bazzichetto

TORONTO – Era il 30 settembre del 1791 e al teatro auf der Wieden andava in scena la prima del “Flauto magico” (Die Zauberflöte). Tecnicamente uno Singspiel (arie alternate a parti parlate, senza il basso continuo tipico del recitativo), l’opera venne musicata da Wolfgang Mozart sul libretto di Emanuel Schikaneder, allora direttore del teatro, ed era destinata a diventare una tra le più amate ed eseguite del repertorio mozartiano e del XVIII secolo in generale, dopo il successo della trilogia nata dalla collaborazione tra il genio salisburghese e l’italiano Da Ponte.

L’opera è un racconto musicale che raccoglie diversi elementi culturali: c’è la componente fiabesca con il flauto del titolo che, suonato dal principe Tamino – novello Orfeo –, gli permette di ammansire le belve e superare diverse prove, un glockenspiel che mette in salvo chi lo suona, montagne incantate e spiritelli. Ci sono gli elementi più disparati della filosofia e delle credenze dello scorcio del ’700, in una narrazione tra il serio e il faceto che assomma gli ideali dell’illuminismo, del giusnaturalismo finanche dell’esoterismo massonico.

logo_3La vicenda è di fatto un Bildungsroman e racconta la maturazione emotiva e razionale dell’individuo che abbandona il suo stato di ignoranza per raggiungere la saggezza, superando svariate prove iniziatiche e coronando il suo successo con l’amore della bella Pamina.

La produzione della COC, che lo scorso 19 gennaio ha inaugurato il nuovo anno, risale al 2011 per la regia di Diane Paulus, ora riallestita dalla revival director Ashlie Corcoran. L’ambientazione è quella di un verde giardino nella proprietà di un nobile ospite: con l’occasione dei festeggiamenti per l’onomastico di Pamina si organizza uno spettacolo in musica a cui prendon parte gli aristocratici convitati, creando così una commedia nella commedia

I costumi di Myung Hee Cho si rifanno da un lato alle marsine gallonate del direttorio francese e agli abiti di ispirazione neoclassica, dall’altro aggiungono a ciascun personaggio elementi decorativi che ci portano nel regno della fiaba con piume, corone, barbe, copricapi egiziani e mantelli scarlatti.

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Le belle voci di Andrew Haji (Tamino) e di Elena Tsallagova (Pamina) hanno saputo creare un duo squisito. Vero protagonista è stato il brillante Joshua Hopkins nei panni di Papageno, il ridanciano uccellatore, crapulone e un po’ codardo, quasi una versione piumata del Leporello dapontiano.

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Non sono mancati gli applausi per Astrifiammante, la Regina della Notte, interpretata da Ambur Braid, ruolo all’epoca scritto per la cognata di Mozart, Maria Josepha Weber. Nonostante la ricchezza degli acuti, imprecisa è risultata invece la coloratura, soprattutto nell’aria del I atto, “O Zittre Nicht” (Non aver paura). Notevoli le voci delle Tre Dame (Fortunata, D’Angelo, Segal) e di Sarastro (Goran Jurić). Nel finale, dopo varie peripezie, come Tamino, anche Papageno trova la sua anima gemella, una civettuola Papagena, che gli dona la gioia del focolare domestico e una prole numerosa, ricordata nel divertente duetto-battibecco (in senso letterale) sulla scelta del sesso dei piumati eredi.

Sotto la direzione del Maestro Bernard Labadie, la produzione è stata un trionfo di colori e trovate divertenti. Senza dubbio, il libretto di Schikaneder, decisamente fiacco e strascicato nel secondo atto, ha giovato nei secoli e ancora oggi delle note davvero magiche del genio di Salisburgo che si spegneva, a soli 35 anni, proprio nell’inverno del 1791, tra l’eco degli arpeggi irrequieti della Regina della Notte e i bassi incalzanti del suo capolavoro incompiuto, il famosissimo Requiem.

(In scena al Four Seasons Centre fino al 24 febbraio 2017)



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