Illustri persuasori della Belle époque: la collezione Salce
by Iolanda Contin
TREVISO – Era il 1895 quando il giovanissimo Ferdinando Salce, detto Nando, acquistò di “contrabbando” dall’attacchino comunale, al prezzo di una lira, il suo primo manifesto, quello della Società Anonima Incandescenza a Gas brevetto Auer, di Giovanni Maria Mataloni.
L’allora diciottenne Nando, figlio di un’agiata famiglia trevigiana di commercianti, forse non immaginava lontanamente che cosa avrebbe portato nella sua vita e nella storia del collezionismo quella prima fatale acquisizione.
E neppure l’occasionale visitatore della mostra, inaugurata in maggio a Treviso, nella nuovissima sede del Museo Nazionale Collezione Salce, si aspetterebbe di trovarsi di fronte ad una minimissima parte dei manifesti pubblicitari che il nostro appassionato collezionista raccolse in quasi settant’anni di ricerche, viaggi, contrattazioni e scambi con privati e gallerie; un lavoro instancabile, una “gioconda mania” – come la definì il giornalista Giovanni Cenzato in un articolo del Corriere della Sera del 1933 – che lo portò a collezionarne quasi 25.000, fino al 1962, anno della sua scomparsa.
La mostra di manifesti della Belle Epoque è la prima di una serie di eventi espositivi che proporranno al pubblico diverse sezioni della raccolta, suddivise per periodi storici. Quale migliore inizio poteva augurarsi il nostro Nando per la rinascita e la riproposta dei suoi cartelloni pubblicitari?
Incentrata su materiali datati tra la fine dell’800 e la prima guerra mondiale, la mostra ripercorre la magia,
l’esuberanza e il fascino di un’epoca definita l’age d’or del cartellonismo, che vide la produzione di grandi immagini prorompenti, dalle forme e dai colori nuovi, immagini molto espressive e accattivanti che divennero popolari entrando a far parte subito dell’immaginario collettivo. Immagini che tappezzarono i muri di tutte le città dalla Parigi dei café chantant alla Treviso del giovane Nando Salce.
Un’epoca che vide cimentarsi nella creazione di manifesti sia sconosciuti disegnatori-illustratori che artisti di punta delle avanguardie quali Mario Sironi, Umberto Boccioni, Fortunato Depero, Felice Casorati, Alberto Martini.
Nelle tre sale del museo sono esposti alcuni fra i più belli e significativi pezzi eseguiti dai migliori cartellonisti di quegli anni –Giovanni Maria Mataloni, Marcello Dudovich, Leopoldo Metlicovitz e Adolfo Hohenstein – che aprirono la via italiana al cartellonismo sapendo fondere armoniosamente le scultoree figure di gusto classico agli elementi decorativi modernisti, futuristi e a quelli raffinatissimi delle Secessioni germaniche.
Non mancano opere di autori stranieri famosi – Alphonse Mucha, Jules Chéret, William Bradley, per citarne alcuni – che a loro volta influenzarono lo stile di altri cartellonisti italiani, come Leonetto Cappiello e Aleardo Villa, i quali seppero innovare irreversibilmente il linguaggio della grafica pubblicitaria soprattutto per l’uso sintetico delle linee e le campiture estese dai colori sgargianti e puri, che inaugura una stagione comunicativa nuova, divenendo i precursori dello stile essenziale con l’inserimento di uno slogan, tipico della pubblicità in cui l’efficacia sopravanza la logica.
La mostra, visitabile fino a settembre, si rivela un piccolo ma sufficiente assaggio per comprendere l’importanza della collezione che si configura come il più consistente fondo di manifesti attualmente disponibile in Italia e certo fra i più cospicui esistenti nel mondo. Indubbiamente il manifesto, spesso qualificato tra le arti minori, deve essere considerato una forma d’arte al pari delle altre, importantissimo anche per approfondire la storia di un’epoca, lo stile delle correnti artistiche e, non ultimo, la storia sociale.
A Nando Salce va tutta la mia riconoscenza e alla direzione del museo rivolgo l’augurio di riuscire finalmente a valorizzare questa raccolta agendo nello spirito di colui che la costituì, come si legge nel suo lungimirante testamento: «Lego allo Stato Italiano […] la mia collezione di manifesti pubblicitari raccolti durante un settantennio, […] perché serva in scuole o accademie […] a studio e conoscenza di studenti, praticanti e amatori delle arti grafiche».