Non di solo pane…
by Gianpietro Miolato
CASTELFRANCO VENETO – «Com’è sicuro di far arrivare ad un cliente inesperto di cucina la complessità e lo studio alla base della creazione di un piatto?»
Questa è la domanda che ho posto allo chef Nicola Dinato, titolare e capo cucina del ristorante Feva di Castelfranco Veneto (una stella Michelin dal 2015), al termine di una piacevole conversazione che scambiamo in chiusura della cena che ho appena consumato.
Lo chef, disponibile e cordiale, sorride e con gentilezza mi risponde: «E’ importante partire dal gusto dei singoli ingredienti. Occorre esaltarne appieno il sapore, creando equilibrio con gli altri elementi che compongono un piatto.»
Equilibrio, dunque. Ecco l’emblema del “Feva-pensiero”.
Mi sono recato a cena ad inizio agosto 2017 e ho scelto il menu “Mente” con mescita di vini in abbinamento. Le possibilità per una degustazione, oltre al menù alla carta, erano tre: “Corpo” (4 portate), “Mente” (5 portate) e “Anima” (8 portate), modulate di stagione in stagione sulle materie prime disponibili nei singoli periodi. Era la seconda volta che cenavo al Feva.
Situato in una barchessa ristrutturata di inizio anni ’20, a sua volta costruita sulle fondamenta di un convento del XVII secolo, l’interno del ristorante ha uno stile sobrio (colori tenuti e monocromatici, corredo minimal e ricercato, musica ambient soffusa, sala con eleganti travi a vista, mise en place semplice ma di buon gusto) che rilancia all’attenzione da rivolgere al pasto. Nessun barocchismo, nessun elemento superfluo, nessuna distrazione.

La barchessa
Dopo un aperitivo e due benvenuti offerti dallo chef (sui quali spiccava il prosciutto di Parma avvolto in grissino di carbone attivo, con purea di melone gelificata), è arrivata la prima portata: Baccalà mantecato, gratin di patate, nocciole, pesto di origano e alici; vino di accompagnamento: Incrocio Manzoni 6.0.13 “Ida Agnoletti”.
Il gratin di patate si sposava elegantemente con la consistenza del baccalà. Il cucchiaio affondava e restituiva un boccone morbido e cremoso, senza lasciare spiacevoli sensi di pesantezza dopo averlo assaporato. Sul finale la sapidità delle alici trovava un ottimo accompagnamento nella tostatura delle nocciole, che ne smorzava eventuali sovrastrutture. Entrambi amplificavano il baccalà. Ottimo il vino, che con la nota sapida preparava il palato al successivo assaggio.
Seconda portata: risotto al prosecco, timo e ostrica alla plancia; vino di accompagnamento: Grüner Veltliner Federspiel 2015 “Alzinger”.

Risotto al prosecco
Uno dei piatti più riusciti. Servito splendidamente in una mezza bottiglia, il riso era cremoso e dalle notevoli note di timo. Al palato era morbido e ben cotto, con un retrogusto dolce e delicato dato dal prosecco. Assaporandolo si notava in chiusura un equilibrio ben giostrato col sopraggiungere della sapidità dell’ostrica, in particolare al momento dell’assaggio della perla. Il timo creava un trait d’union tra i due poli gustativi. Ottimo l’Alzinger nelle intense note fruttate, in particolare in contrasto con la persistenza dell’ostrica.
Terza portata: Paccheri alla carbonara di canestrelli, pesto di ricci di mare e santoreggia; vino di accompagnamento: Riesling Trocken 2016 “Fritz Haag”.

Paccheri alla carbonara di canestrelli
Ammetto con un certo dispiacere che questa portata è stata un punto di domanda. Servito ottimamente e visivamente assai ben costruito (piacevoli i pezzetti di bacon a decorare e donare note di colore), il piatto era anonimo. Non si coglieva il mare, a differenza del risotto. A farla da padrone era l’uovo. E solamente l’uovo. In tal senso è risultato inutile il Riesling, pur interessante nella persistenza acidula al palato.
Quarta portata: scamone di agnello in crosta di erbe, babaganoush, composta di prugne e cipolle di Tropea; vino di accompagnamento: Bourgogne Hautes-Côtes de Nuits 2014 “Pierre Ponnelle”.

Scamone di agnello
Assieme al risotto, il miglior piatto. Ottima la cottura della carne che risultava tenera e saporita grazie alla crosta agli aromi, e altrettanto ottimo l’abbinamento con la dolcezza delle prugne e della cipolla. Il babaganoush forniva un non invadente apporto di sapidità a completare la gamma di sapori. Il vino, dalla gradazione non indifferente ma dal corpo morbido, si sposava perfettamente grazie alle note di amarena e frutti rossi, e grazie alle eleganti sfumature di legno.
Quinta portata: pesche saturnine, frutto della passione, liquirizia; vino di accompagnamento: Port 2011 Unfiltered Single Vineyard Late Bottled Vintage “Quinta do Noval”.

Pesche saturnine
Ottimo assemblaggio dato dalla alla dolcezza della pesca caramellata da un lato e dall’altro dall’acidità del frutto della passione alla base. La liquirizia ben legava pesca e frutto della passione. La nota liquorosa del porto si univa all’intensità della liquirizia in un ottimo equilibrio.
In chiusura simpatici i saluti dati dagli assaggi di mojito serviti in palline di burro di cacao.
Un’esperienza da ripetere? Sì. Senza dubbio alcuno.