L’automa di Paolo Ventura
by Marilisa Mainardi
Prima di scrivere questo articolo ho cercato di documentarmi a fondo sul sito internet di Paolo Ventura e mi sono resa conto, una volta di più, del motivo per cui amo tanto questo artista. Anche il “luogo” che dovrebbe essere preposto a parlare di lui al grande pubblico è misterioso, cupo e asciutto come l’arte che esprime nei suoi volumi. Quindi, chi è questo Paolo Ventura? Sappiamo che è nato a Milano nel 1968, che è un artista internazionale le cui opere sono contenute nei più importanti musei del mondo e che ha pubblicato un’importante serie di libri di cui per ora, nessuno di essi mi ha mai delusa.
La vicenda de L’automa è ambientata nell’inverno fra il 1942 e il 1943, l’Italia è divisa in due ed è attraversata dalla guerra civile: a Venezia, sono i giorni del rastrellamento nel ghetto.
Come ha rivelato l’artista in un’intervista del 2011, l’idea del racconto nasce da una storia che gli raccontava suo padre quando era bambino e non voleva addormentarsi. Narra di un anziano ebreo che vive nel ghetto di Venezia e che, durante l’occupazione nazista, sceglie di creare un automa che gli faccia compagnia.
Questa trama ha qualcosa di familiare e antico, un richiamo alla nostra stessa infanzia, ad un racconto che tutti noi da bambini abbiamo ascoltato. Non era forse Mastro Geppetto un uomo vecchio e solo che decise di creare un burattino di legno per fargli compagnia, chiamato Pinocchio?
La scelta di ambientare il racconto a Venezia è dovuto alla volontà di ritrarre un ambiente riconoscibile da tutti, un posto che se anche non si conosce personalmente risulta essere talmente iconico da essere entrato a far parte dell’immaginario collettivo. Allo stesso tempo tuttavia la vicenda si svolge nel ghetto – un luogo chiuso, lontano e “altro” -, allontanando parzialmente il lettore dalla realtà.
Le fotografie che compongono il volume richiamano uno scenario desolato, raccolto intorno a quel fenomeno paralizzante che è la paura. Paura delle bombe, sì. Paura dei rastrellamenti, certo. Paura della solitudine, soprattutto: la più sconfinata e delirante paura dell’essere umano. Il paesaggio urbano diviene uno stato d’animo e coinvolge il lettore, lo accompagna attraverso la vicenda e dentro ad ogni singola immagine. Come si vede sfogliandolo, la fotografia di Paolo Ventura è la base che l’autore pone a qualcosa che è più simile ad un’illustrazione, quasi a una tela ad olio o ad un acquerello.
Lascia perplessi il finale. Quasi fosse troppo doloroso per essere raccontato. Il nostro anziano ebreo fa un sogno: un grosso pesce (e anche qui torna l’analogia con il racconto collodiano) lo divora, rischia di essere catturato dai nazisti e Nino, l’automa, viene abbandonato. Colui che era stato creato per vincere la solitudine viene lasciato solo.
Difficile comprenderne la compiutezza nel finale; molto più facile, venire confinati a nostra volta nello spaesamento, nella solitudine e nella paura.
Paolo Ventura è un autore che merita di essere scoperto, soprattutto in Italia dove ancora non è molto noto. Il suo valore è indiscutibile e la sua arte descrive mondi che in un certo qual modo conosciamo molto bene, senza necessariamente averli mai percorsi.