Canaletto. Il genio della veduta in mostra a Roma

Canaletto. Il genio della veduta in mostra a Roma

by Carolina Trupiano

ROMA – La primavera romana ha visto inaugurare una mostra d’eccezione: Canaletto (1697-1768), a celebrazione del 250° anniversario della sua morte.

La mostra si propone di ripercorrere l’intera carriera dell’artista con una serie consistente di opere dagli anni giovanili alla maturità londinese (si tratta di 42 dipinti, 9 disegni, 16 tra volumi e documenti d’archivio) per presentare Giovanni Antonio Canal (1697-1768) – il più celebre tra i vedutisti veneziani – in modo chiaro e completo, con un percorso cronologico che illustra le fasi della sua arte, l’evoluzione ed i cambiamenti, in modo da calare il visitatore in una reale esperienza della sua pittura.

La visita si rivela un piacere e una continua scoperta.

Guidati dalla curatrice Bożena Anna Kowalczyk, la maggior esperta di vedutismo settecentesco, giungiamo in Piazza Navona, splendida cornice della sede del Museo di Roma a Palazzo Braschi. L’immersione nella magnificenza barocca è già totalizzante e la vitalità della vita cittadina ripropone la stessa atmosfera che si rivive nelle vedute settecentesche, brulicanti di figurine, mercanzie, gondole, navi, nobili veneziani e maschere.

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La curatrice Bożena Anna Kowalczyk

Salito lo scalone principale, stupisce la continuità tra l’architettura di fine Settecento del palazzo con il soggetto della mostra: le rifiniture degli interni rococò, le raffinatissime imposte lignee di un lieve celeste a decori floreali e il sottofondo di melodie vivaldiane ci accompagnano magistralmente nel percorso.

Si inizia con le tele di impostazione teatrale eseguite con il padre Bernardo Canal, pittore di scenografie, insieme a Roma negli anni tra il 1716 e il 1720: si evince come la sua formazione sia fortemente legata al mondo del teatro, con composizioni di ampio respiro che coniugano la rappresentazione del reale con un mondo d’invenzione. Non a caso, seguono i Capricci. Magistrali vedute che uniscono dati veritieri, elementi desunti dall’architettura dell’antichità ed esempi di costruzioni moderne, con componenti di vegetazione incolta, come si nota nell’ampia tela Capriccio architettonico (1723, olio su tela, cm 178 x 322, collezione privata). Qui prevale lo spirito del rovinista. Canaletto si diverte a prelevare un particolare della Libreria sansoviniana, isolandolo e rendendolo in uno stato di decadenza: il marmo delle colonne ioniche è in parte deteriorato, i bassorilievi inscuriti dal tempo, la vegetazione cresce spontanea, ingentilendo ma anche caratterizzandola con lo stato rovinoso. Sullo sfondo, elementi dell’architettura classica romana, il palazzo Laterano con il suo obelisco, mentre diverse figure, ben caratterizzate, si muovono in tutta la tela: le guardie svizzere, con cappello piumato e divisa a grandi righe rosse e blu, lavandaie, mendicanti. L’essenza del capriccio, nella sua fantastica commistione di elementi, è qui totalizzante.

Segue il primo periodo veneziano, in cui il giovane artista amplia le visuali, le inonda di luce lagunare, ancora fortemente chiaroscurata, che risente della sua formazione teatrale. Ma Antonio ha il merito di andare sempre “sul loco” e formare “tutto sul vero”, come ci testimonia Alessandro Marchesini nel 1725: Canaletto si sta creando sempre più la fama di rappresentante del reale, tramite l’elaborazione di una tecnica – che parte dalla scelta dei colori della preparazione –  capace di rendere la naturalezza dell’atmosfera. E’ chiaro in Il Canal Grande con Santa Maria della Carità, Venezia (1726, olio su tela, cm 89,5 x 131,4, Torino, pinacoteca Agnelli), dove la massa architettonica della facciata della chiesa in mattoni, di color quasi aranciato, s’impone con monumentalità e, insieme alla laguna di un intenso verde e al cielo tempestoso, lo spettatore viene coinvolto in una visione di intensa drammaticità.

Il momento della fama arriva in concomitanza con la rappresentazione di una Venezia tersa e luminosa che dona sensazioni di pace e si mostra in tutto il suo splendore, allineandosi con le teorie newtoniane del secolo dei Lumi. Ne Il ritorno del Bucintoro al Molo il giorno dell’Ascensione, Venezia (1729 circa, olio su tela, cm 182 x 259, Mosca, Museo Puskin), commissionato dall’ambasciatore di Francia, l’artista fa sfoggio di tutta la ricchezza e il potere della Serenissima nel giorno di festa, con lo sfavillio delle statue dorate dell’imbarcazione dogale, con le gondole decorate che si affollano nel bacino, davanti ad un Palazzo Ducale che risplende di luce rosea nella limpida giornata di maggio.

Un vero gioiello è il dipinto San Giorgio Maggiore dal Bacino di San Marco, Venezia, 1730-1732 (olio su tela, cm 46,3 x 63,2, Boston, Museum of Fine Arts) che mostra il fascino della città marittima, immersa in una luce brillante, dove a prevalere sono gli azzurri del cielo e della laguna trasparente, i bianchi del marmo della chiesa palladiana di San Giorgio e i bruni delle imbarcazioni, che l’artista descrive minuziosamente rifacendosi alla pittura marina olandese del Seicento. L’attenzione al dettaglio, nella resa di particolari di grande realismo nel dispiegamento delle vele (in parte usurate), nei particolari aneddotici degli scorci di mercato sulla Riva degli Schiavoni, negli sfondi composti dalle tegole dei tetti, Canaletto dimostra l’abilità di paesaggista, attentissimo osservatore dell’ambiente e preciso narratore della vita cittadina nella sua vivacità.

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San Giorgio Maggiore dal Bacino di San Marco, Venezia, 1730-1732, olio su tela, Boston, Museum of fine Arts

Quando il console Joseph Smith, banchiere e mercante, colto e raffinato collezionista, diventa il suo mecenate, promotore della sua arte e agente oltremanica, diventa imprescindibile, oltre che segno di prestigio, per i giovani rampolli nel loro Gran Tour ottenere un ricordo visivo di Venezia da parte del maestro. Il successo di Canaletto è all’apice, la sua pittura sempre più chiara, topograficamente precisa, infonde serenità: questa la sensazione che trasmettono i cieli rosei delle vedute veneziane degli anni Trenta-Quaranta, la profusione di una luce brillante, la schiettezza unita al realismo dei saggi paesaggistici. Stupisce il dettaglio del foglio Capriccio con San Lorenzo, Venezia, e case di Padova (recto), Schizzi architettonici (verso) (1742-45 circa), in cui l’uso della penna e dell’inchiostro bruno per delineare i particolari strutturali – tegole, camini, assi sul ponte e lesene – e le figure di squisita morbidezza rococò (rese cioè con tocchi di matita circolari) rendono ogni disegno un capolavoro di inventiva e precisione.

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Capriccio con San Lorenzo, Venezia, e case di Padova, 17342-1745 circa, New York, The Morgan Library & Museums

Non potevano mancare le opere di soggetto romano, in un confronto con l’allievo e nipote Bernardo Bellotto: una sezione che perfettamente si allinea con la città ospitante, fiera di poter vedere su tela la grandiosa Piazza Navona (Bellotto, La piazza Navona verso nord, Roma, olio su tela, collezione privata), di forte impatto chiaroscurale e precisione prospettica, proprio secondo la visuale che si può ammirare dalle finestre dell’ultimo piano di Palazzo Braschi: una trovata della curatrice di grande raffinatezza.

Ma è con L’antico ponte su Po, Torino, 1745 (olio su tela 128,5 x 173 cm, Torino, Galleria Sabauda) che possiamo apprezzare la maestria del nipote paesaggista, in un capolavoro dai colori bruni e verdi-azzurri che ci fa prima avvicinare alla tela per studiarne i dettagli e poi perdere lo sguardo nell’orizzonte dove si profilano le montagne turchesi. In una cornice di abitazioni rurali, con diverse figure a passeggio e sullo sfondo un castello fortificato, spicca la carrozza di legno dorato e grandi ruote rosso fuoco: un dettaglio che ci trasporta nel mondo quasi fiabesco della nobiltà settecentesca.

E’ con il trasferimento di Canaletto a Londra, per lunghi nove anni (1746-1755), che l’artista, accordandosi con il gusto britannico e in schietta ammirazione per gli spazi verdi sconfinati delle campagne inglesi, esegue tra i più raffinati e limpidi saggi paesaggistici del Settecento.

Nel The Windsor Castle da sud-ovest, 1747 (olio su tela, collezioneThe Duke of Northumberland) ci si delizia del prato che si estende intorno al castello, residenza di campagna dei reali, con le sue sfumature di verde e le siepi ordinate curate dai giardinieri, mentre un suonatore di flauto siede sul terreno, delle fanciulle giocano, uno stalliere cura i cavalli. Sullo sfondo si profila il maestoso castello, su un cielo celeste che si sfuma in rosa verso destra nella zona fluviale: la sensazione di armonia è totale.

Davvero eccezionale è l’unione in mostra di due tele separate da 250 anni, in origine un grande dipinto raffigurante il Tamigi, in seguito tagliato in due per facilitarne la vendita, ora al Museo Nacional de l’Avana una, al National Trust l’altra: un prestito che accresce il prestigio dell’esposizione.

Se lo stile del Canaletto inglese gli conferisce maggiore notorietà e ne ingentilisce la pittura, con il ritorno in laguna egli fa proprie le tendenze rococò, che estremizzano la rotondità dei segni e triplicano i dettagli nella ricerca di una raffinatezza estrema.

Su questo gusto si allinea lo splendido disegno Incoronazione del doge sulla scala dei giganti, Venezia, 1766 (Courtesy Jean-Luc Baroni), ultimo dei suoi capolavori, in cui l’altissimo grado di rifinitura fa pensare ad una precisa commissione. Il momento è solenne, celebrato all’interno del cortile del Palazzo Ducale, nel luogo scenografico per eccellenza predisposto alle feste dogali, con il grande scalone culminante nelle statue di Mercurio e Nettuno, ai cui piedi si accalca la folla, mentre con accuratezza massima è resa la profusione di marmi e la ricca decorazione scolpita a bassorilievo, con festoni, stemmi ed elementi vegetali, della facciata interna. In una Venezia il cui tramonto si sta avvicinando, la teatralità è ancora assoluta.

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L’incoronazione del doge sulla Scala dei Giganti, Venezia, 1766, Courtesy of Jean-Luc Baroni

Canaletto muore due anni più tardi e in miseria: l’Inventario dei Beni dopo la sua morte, documento conservato presso l’Archivio di Stato di Venezia, e qui esposto, mostra «quanto ha lasciato il quondam Antonio Canal […] Quadretti Mezzanelli, e Picoli, Camisie vecchie, Tabaro Vecchissimo Scarlato, Capelli Vecchi […]».

La perfetta ed umana conclusione di un percorso di vita, arte, successi e miserie.

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